Sunday, March 20, 2022
Friday, February 25, 2022
Saturday, February 19, 2022
Condividere la terra con gli alberi
Condividere la terra con gli alberi
Anastasia Makarieva,
Andrei Nefiodov e Ugo Bardi
Lo so: agli alberi, ma non
a noi,
la perfezione della vita è data, integra.
E sulla Terra – la sorella delle stelle –
Viviamo in esilio, mentre loro vivono in casa.
Nikolai Gumilev
Introduzione:
Diverse centinaia di
milioni di anni fa, quando la vita terrestre cominciava a colonizzare la terraferma, si trovò di fronte a una sfide fondamentale. Una
era la carenza di acqua: in assenza di vegetazione, la maggior parte delle
terre emerse erano deserti: mancavano meccanismi per trasportare, e soprattutto
per trattenere, l’acqua nell’entroterra. Senza questo meccanismo, la vita terrestre
non poteva che limitarsi a una ristretta striscia di terra sulla riva dei mari,
dove la condensazione dell’umidità atmosferica poteva portare la pioggia.
Oggi,
tuttavia, troviamo che la terra è completamente colonizzata da grandi foreste
che si spingono ben addentro i continenti. Come è stato possibile arrivare a
portare acqua a una tale distanza dal mare?
L’atmosfera
terrestre contiene sempre un po’ di vapore acqueo portato dai venti, il
problema è come condensarlo. Questo avviene naturalmente quando l’aria sale
verso l’alto. In questo caso, la temperatura scende e le molecole d’acqua
disperse nell’atmosfera si condensano a formare goccioline di pioggia. Un
effetto correlato e che la condensazione del vapore acqueo crea una leggera
depressione. Il risultato è di convogliare altra aria umida dove l’acqua si era
condensata. In altre parole,
l'estrazione dell'umidità può essa stessa guidare il movimento dell'aria!
Questo
meccanismo è stato chiamato la “Pompa Biotica” dai suoi proponenti, Viktor Gorshkov
e Anastassia Makarieva (Makarieva 2011). Il
processo chiave della pompa biotica è la traspirazione delle piante: le piante
terrestri emettono circa trecento molecole d'acqua per ogni molecola di
anidride carbonica fissata dalla fotosintesi (Cramer 2009). Questo è stato tradizionalmente considerato uno spreco inevitabile causato da limitazioni del meccanismo di trasporto dell’acqua dal suolo alle
foglie. Tuttavia, è noto che le piante
differiscono sostanzialmente nell'efficienza del loro metabolismo, e in particolare nell'uso dell'acqua. Ad esempio, le cosiddette piante “C4,“ che si sono evolute in tempi
relativamente recenti, possono avere
efficienze di utilizzo dell'acqua per la fotosintesi superiori
rispetto alle
piante che usano il meccanismo più antico, “C3“(Vogan e Sage 2011). Ma quasi nessun albero ad alto fusto usano
il meccanismo C4 (Sage 2001; Osborne e Sack 2012). Sembrerebbe possibile che l’inefficienza
dell’uso dell’acqua negli alberi non è uno spreco, ma una caratteristica utile
per la sopravvivenza.
Il
rilascio di grandi quantità di vapore acqueo dalle foglie ha l’effetto di
generare la condensazione a bassa quota. Il
raffreddamento necessario per la condensazione è fornito dal campo
gravitazionale terrestre come risultato dell’espansione del gas atmosferico. Questo attiva il meccanismo della pompa biotica quando l'umidità atmosferica va oltre il punto
di rugiada. Dopo la condensazione, la pressione dell'aria diminuisce nella
bassa atmosfera facilitando l'afflusso di aria umida dall'oceano adiacente.
La possente foresta
pluviale amazzonica illustra questo maestoso processo (Wright et al. 2017). Mentre
un ecosistema di praterie, incapace di controllare efficacemente il proprio
ciclo dell'acqua, incontra la fine della stagione secca nello stato di massima
essiccazione, la foresta amazzonica, in netto contrasto, inizia a
fotosintetizzare e traspirare più attivamente proprio in quella stagione (Saleska et al. 2016). Nuove foglie vigorose germogliano
sotto il pieno sole dei cieli sereni della stagione secca usando l'acqua
accuratamente conservata dalla stagione delle piogge. Man mano che la
traspirazione cresce, cresce anche l'umidità atmosferica. La condensazione
si intensifica di conseguenza, modificando i contrasti di pressione dell'aria
terra-oceano. Infine, l'aria umida si muove nell'entroterra
dall'Oceano Atlantico formando un vero e proprio “fiume atmosferico” che riporta l'umidità necessaria alla foresta. La stagione delle piogge
promossa dalla traspirazione forestale inizia con due mesi di anticipo rispetto
a quando arriva alle regioni non boscose alla stessa latitudine in tutto il
mondo.
Un altro esempio di pompa
biotica è la cintura forestale eurasiatica che si estende attraverso il
continente per oltre settemila chilometri e, durante la stagione della
vegetazione, assorbe l'umidità dai tre oceani: l'Atlantico, l'Artico e il
Pacifico (Fig. 1).
Perché le foreste?
In
principio, anche una prateria potrebbe essere in grado di arricchire l'atmosfera di umidità attraverso
l'evapotraspirazione. Ma potrebbe generare una pompa biotica? Quasi certamente no. L'ostacolo principale è come controllare la condensazione. L'evaporazione
che reintegra l'umidità atmosferica è un processo lento guidato dall'energia
solare. Al contrario, la condensazione può verificarsi a una velocità
arbitrariamente elevata. Una volta che c'è un movimento ascendente
dell'aria, la velocità di condensazione è proporzionale alla velocità
verticale: più rapidamente l'aria sale e si raffredda, più il vapore acqueo
condensa rilasciando energia che guida il movimento dell'aria. Questo
processo può auto-accelerarsi per produrre velocità del vento comuni a uragani
e tornado. Queste
rapide esplosioni impoverirebbero l'umidità atmosferica e
causerebbero un'assenza prolungata di pioggia.
Invece
il baldacchino di una foresta interrompe questi processi incontrollati. In primo luogo,
garantisce un attrito che riduce la velocità orizzontale del vento. In secondo luogo, durante il giorno si verifica
un gradiente di temperatura verticale inverso sotto la chioma, con il terreno
che è il più freddo e la cima dell'albero il più caldo. In queste condizioni, l’aria non sale verso
l’alto e questo evita la perdita di umidità
del suolo per evaporazione incontrollata. Questo non succede con le erbe.
Questo
non vuol dire che le erbe non abbiano un ruolo essenziale nell'ecosistema forestale. Quando un albero muore, oppure c’è un incendio, si apre uno
spazio non coperto dagli alberi. La ricolonizzazione di questo spazio (“successione”)
è un processo complesso che parte dalla colonizzazione di erbe e comprese le graminacee. Hanno un effetto benefico perché coprono rapidamente il terreno, prevenendo
la fuoriuscita di sostanze nutritive. Le erbe non hanno bisogno di generare una
pompa biotica, glie la fornisce la foresta circostante. Col tempo, tuttavia,
gli alberi ricolonizzano la zona disturbata e le erbe non si sviluppano più per
mancanza di luce solare.
Il problema dei grandi
erbivori
La
biomassa terrestre è un fenomeno relativamente recente nell’ecosistema
terrestre. La vita esiste negli oceani da almeno 4 miliardi di anni, mentre le
piante vascolarizzate sulla terra ferma esistono da non più di circa 400
milioni di anni. La colonizzazione della terraferma ha portato a dei
cambiamenti giganteschi. La terraferma e l’oceano hanno una produttività primaria comparabile, di circa 50 GtC (gigatonnellate di carbonio) all’anno. Ma nell’oceano, la massa totale dei produttori primari, il fitoplancton è solo di circa un gigatonnellata di
carbonio rispetto a diverse centinaia di gigatonnellate di biomassa legnosa sulla terraferma! Anche la biomassa delle foglie verdi, a circa 10 GtC, è
un ordine di grandezza maggiore (Bar-On et al. 2018).
Quindi, con la nascita delle foreste si sono
sviluppati sia dei fenomeni di stabilizzazione, come la pompa biotica, sia di
destabilizzatione. Questo secondo tipo di effetto può essere dovuto proprio all’abbondanza
di risorse sulla terraferma che ha dato origine all'evoluzione dei grandi mammiferi terrestri, chiamati a volte “Megafauna” che
consumano localmente energia a una velocità
centinaia di volte superiore a quella che la biosfera può fotosintetizzare
localmente (~100 W/m 2 contro 0,5 W/m 2 ). Questo
rende i grandi mammiferi potenziali distruttori dell'intero ecosistema, se il
loro numero non è controllato. In una foresta naturale stabile, i grandi
animali non dovrebbero consumare più dell'1% della produttività totale
(Makarieva et al. 2020).
Il
problema è che la megafauna può distruggere le foreste e che questa potrebbe
essere la ragione per lo sviluppo delle erbe nella seconda metà dell’Era
Cenozoica (Sage 2001), nonché dello sviluppo di praterie e
deserti, come pure della più recente
diffusione delle piante C 4 "idroefficienti" che
traspirano relativamente poco (es. Sage
2001; Osborne e Sack 2012). Tutti questi fenomeni si possono spiegare con il danneggiamento
di alcune aree dove esistevano meccanismi estesi di pompaggio biotico.
Notiamo di passaggio che
la grande estinzione avvenuta alla fine dell'Eocene nell'oceano che ha colpito
specie microscopiche (Prothero 1994a) potrebbe avere a che fare anche con
l'aspetto evolutivo dei primi mammiferi oceanici (cetacei e altri). Gli esseri umani hanno fatto la loro parte
in quanto anche loro si possono definire come “megafauna” (Bardi
and Perissi 2021).
Implicazioni: superiamo
gli istinti del grande animale prima che sia troppo tardi
Fatta eccezione per le
dimensioni, ciò che la nostra specie ha fatto alle foreste, sterminandole, non
è una cosa nuova
nell’ecosistema terrestre. La
crescita della popolazione umana ha continuato la devastazione delle foreste
iniziata con la comparsa dei primi grandi mammiferi erbivori quaranta milioni
di anni fa nell'Eocene. Se gli esseri umani fossero stati un primate
arboricolo, forse
avremmo percepito le foreste e avremmo agito in modo diverso.
Il
problema è che la perturbazione umana agisce sull’intero ecosistema. Le foreste
sono cruciali per il trasporto continentale
dell'umidità che attualmente sostiene le principali regioni agricole del mondo. Cosa ancora più importante, le foreste naturali (e gli ecosistemi naturali oceanici)
stabilizzano il clima mantenendolo umido. La narrativa contemporanea del
cambiamento climatico enfatizza la dinamica della temperatura media (riscaldamento/raffreddamento). Tuttavia,
le principali sofferenze odierne legate al clima sono legate a eventi
estremi come siccità, inondazioni, ondate di calore piuttosto che alle
variazioni medie a lungo termine di precipitazioni, vento e temperatura. “Paradiso
perduto” – è così che Prothero (1994a, b) ha caratterizzato la transizione
Eocene-Oligocene dal clima caldo, umido e stabile della Terra
dominata dalle foreste al clima più freddo, più secco e fortemente
fluttuante di tipo modernocon una percentuale maggiore di terra coperta da
praterie. Oggi, le restanti foreste su larga scala, le frontiere della
stabilità climatica, sono ancora in grado di tamponare
gli estremi climatici (O'Connor et al. 2021), probabilmente evitando il temuto “tipping
point” che porterebbe il clima terrestre verso
uno stato completamente inospitale nei riguardi della vita biologica (Gorshkov et al. 2000).
Ci
manca, evidentemente, la capacità genetica di rispettare le foreste, ma potremmo
tuttavia apprezzarne l'importanza e prevenirne la distruzione sulla base di
argomenti scientifici razionali. Per molto tempo le foreste sono state
valutate soltanto
in base al costo di mercato del legno che producevano. Negli
ultimi decenni si è cercato di applicare il termine economico di
"servizi" agli ecosistemi forestali e di valutare il valore economico
di tali "servizi naturali" che riceviamo "gratuitamente" dalle foreste. Il prossimo passo dovrebbe essere il riconoscimento degli
impatti climatici drasticamente diversi degli ecosistemi naturali disturbati
rispetto a quelli indisturbati. Attualmente, tale distinzione non è visibile nel dibattito. Di conseguenza, le foreste incontaminate continuano a essere
rapidamente distrutte.
Le
foreste sono ecosistemi che hanno la funzione
di regolare il
clima e sono in grado di mantenere l'ambiente in uno stato favorevole per la vita. Le foreste fortemente disturbate (piantagioni
artificiali, popolamenti forestali di pari età, specie forestali precoci) non
hanno una tale funzione di regolazione del clima. Tenendo conto del fatto
che l'ulteriore distruzione degli ecosistemi naturali porterà al degrado
irreversibile del clima globale e renderà impossibile la vita della nostra
civiltà sulla Terra, il costo degli ecosistemi naturali si riduce al costo
della vita umana stessa come fenomeno unico. Tale costo va oltre
l'applicabilità della teoria economica tradizionale e tende a un valore
infinito.
Poiché la civiltà umana
non può esistere senza la trasformazione (distruzione) del biota naturale
(siamo grandi animali geneticamente codificati per distruggere la vita
vegetale), la risoluzione della contraddizione consiste nel limitare il consumo
totale, compreso il numero della nostra popolazione. Nel frattempo, le
funzioni economiche ed ecologiche delle foreste devono essere quantificate e comprese (Makarieva et al. 2020, Cary et al. 2021, Betts et al. 2021). Lo
sfruttamento della foresta dovrebbe essere consentito solo in aree
rigorosamente prescritte, dove segue il reimpianto dopo l'abbattimento sotto
forma di piantagioni. Gli ecosistemi forestali intatti dovrebbero essere
protetti dall'abbattimento su scala industriale e ripristinati su vaste aree al
fine di svolgere le loro funzioni di regolazione del clima. Tali territori
non devono essere di proprietà privata (avendo un prezzo infinito, non
possono essere acquistati) o affittati. Nel contesto dei progressivi
cambiamenti del clima globale, i governi nazionali devono assumersi l'obbligo di rivedere il quadro giuridico per
la regolamentazione economica del fondo forestale, tenendo conto di queste
restrizioni. Poiché è difficile attuare rapidamente riforme così
significative a causa della naturale inerzia di pensiero, è necessario
introdurre una moratoria urgente sull'abbattimento industriale delle aree
forestali intatte. Solo così possiamo sperare di evitare un degrado irreversibile
dell’ecosistema, perlomeno nel tempo di vita della civiltà umana.
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